LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 30
21 maggio 2017 – 6^ domenica di Pasqua
Ciclo liturgico: anno A
Se uno mi ama, osserva la mia parola, dice il Signore,
e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui.
Giovanni 14,15-21 (At 8,5-8.14-17 - Sal 65 - 1 Pt 3,15-18)
O Dio, che ci hai redenti nel Cristo tuo Figlio messo a morte per i nostri peccati e risuscitato alla vita immortale, confermaci con il tuo Spirito di verità, perché nella gioia che viene da te, siamo pronti a rispondere a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi.
Spunti per la riflessione
Se mi amate.
Gesù ora parla di sé nell’ultimo grande discorso che, nel Vangelo di Giovanni, fa ai suoi discepoli.
È una sorta di testamento definitivo, di condivisione delle proprie emozioni. Gli apostoli sono straniti da quei discorsi di addio, ancora non sanno cosa sta per accadere. E in quelle parole, come dicevamo domenica scorsa, Gesù concentra tutta la sua travolgente passione, il suo amore, l’intensità della sua missione.
Se mi amate.
Quante volte usiamo questo termine con i nostri figli, con i nostri famigliari, con il nostro partner.
Se davvero mi vuoi bene dovresti…
Prove, ricatti, sotterfugi per mettere all’angolo chi dice di amarci.
Ha un volto negativo, questa affermazione.
Il volto del giudizio, dell’esame, della messa in discussione continua. Là dove siamo noi i giudici.
È un’ambiguità insormontabile: siamo noi a stabilire le condizioni che l’altro deve osservare per dimostrare il suo amore.
Come se sapessimo cos’è l’amore. Sul serio.
Ma dai.
Amori folli
Diffido dell’uso massivo del termine amore.
Non solo perché, da buon montanaro, manifesto un certo pudore nell’esprimere emozioni e affetti. Ma molto di più perché dietro questo termine, ormai, abbiamo nascosto tutto e il contrario di tutto.
Come l’omicida che, disperato, afferma di avere ucciso la propria amata perché la amava troppo.
Amore e follia, sommo amore e sommo egoismo, quasi sempre coincidono.
Cosa intende dire Gesù, allora, quando dice se mi amate?
Il suo non è un ricatto. Non è un manipolatore. Non suscita sensi di colpa.
Se mi amate osservate i miei comandamenti.
Il principale, anzitutto: amatevi gli uni gli altri dell’amore con cui vi ho amati.
Possiamo amare se accogliamo il suo amore incondizionato.
Diventiamo capaci di amare di quell’amore che riceviamo.
Non perché migliori o sensibili o buoni.
Perché amati.
Il comandamento, allora, perde tutta la sua tetra valenza giuridica, di obbligo, di legge, di comando.
E diventa la forma dell’amore. Il modo concreto che abbiamo di manifestare affetto per un’altra persona.
Se dico che ti amo e non ti vedo mai, chi mi può credere? Se dico che ti amo e ti lascio morire di fame o di solitudine, a che serve? Il comandamento, allora, diventa il modo pratico di declinare l’amore che ho per te.
E il comandamento di cui parla Gesù è quello appena consegnato durante l’ultima cena, che completa e sostituisce ogni altro comandamento.
Amatevi come io vi ho amati. Cioè: accogli il mio amore per essere capace di amare te stesso e gli altri.
Amare gli altri come lui ci ha amati. Come una vasca che si riempie d’acqua e deborda, irrigando tutto ciò che gli sta attorno. Portando vita.
Il paraclito, lo Spirito di verità
A volte, però, non siamo capaci di accogliere l’amore di Dio. ne siamo ostacolati perché ci rimproveriamo qualcosa, perché il mondo, che in Giovanni indica la parte oscura che ci abita, ci accusa, ci fa sentire in colpa, ci condanna, ci giudica.
E il mondo non è in grado di conoscere l’amore. Né Cristo. Né Dio.
Siamo pieni di sensi di colpa, sempre sottoposti a giudizio. E spesso, purtroppo, diciamo che è Dio a volerlo!
Gesù, allora ci invia lo Spirito paraclito.
Nell’antichità non esisteva la figura dell’avvocato difensore. L’accusato poteva, a proprio discolpa, chiamare dei testimoni. Ma se, alla fine, questo non era sufficiente, una persona che godeva di stima pubblica poteva mettersi a fianco dell’accusato (da cui il termine paraclito) senza dire nulla. E la sua integrità suppliva a quella dell’accusato.
Lo Spirito ci fa uscire dalla terribile logica del giudizio verso noi stessi e verso gli altri.
Ma perché ciò accada lo Spirito ci deve condurre verso la verità.
La verità di noi stessi, consapevoli dei nostri limiti ma, soprattutto, consapevoli del grande dono per gli altri che possiamo diventare. Che già siamo.
Grande gioia
Se è davvero così, allora, la difficoltà, il limite diventano straordinaria opportunità, occasione di annuncio, ragione di conversione.
Ne sa qualcosa Filippo che, a causa della persecuzione che si è scatenata contro la primitiva comunità, è fuggito e si ritrova in Samaria, la terra abbandonata, la terra eretica, la sposa infedele che Gesù stesso ha cercato di sedurre e di riconquistare (Gv 4).
La fuga diventa luogo per l’annuncio e conversione di nuovi discepoli.
Ogni difficoltà diventa opportunità per andare all’essenziale, per purificare le nostre strutture e le nostre stanche abitudini.
Affinché, oggi come allora, ci sia una grande gioia in quella città. Quella che abitiamo.
Rendendo ragione
Dimorare nell’amore, non scoraggiarsi e approfondire la fede, come suggerisce Pietro.
Sempre pronti a rendere conto della speranza che è in noi. Perché amati, perché amanti. Perché (non sempre) amabili.
Superando i sensi colpa e il giudizio, attenti alla verità che per noi è una persona, il Cristo, possiamo con libertà dire Dio, dire di Dio.
Se mi amate.
Sì, ti amiamo, Signore.
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L’Autore
Paolo Curtaz
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Esegesi biblica
Gesù “Via, Verità e Vita” (14, 1-31)
Continua in questo capitolo il primo discorso di Gesù durante l’ultima cena (Gv 13,36-14,31). Questo discorso al pari del successivo (cc. 15-16), non si muove secondo un rigoroso senso filologico, ma presenta una costante atmosfera di commiato da parte di Gesù riguardo agli apostoli, e forti esortazioni alla fede e all’amore.
- Gli apostoli sono in uno stato di profondo turbamento (14,1-14) per le tre predizioni che Gesù ha fatto poco prima relativamente al tradimento di Giuda (13,21), alla sua dipartita da questo mondo (13,33) e al rinnegamento di Pietro (13,38). Gesù li esorta a superare tale momento difficile invitandoli a credere in lui in modo rinnovato e più profondo: “Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (versetto 1). In questa esortazione a continuare a credere (il verbo “credere” è al tempo presente!), è notevole il fatto che la fede in Gesù (”in me”) venga messa sullo stesso piano della fede “in Dio”; questo parallelismo si ripresenta poco dopo con il verbo “conoscere” (”Se conoscete me, conoscerete anche il Padre” v. 7) e con il verbo “vedere” (”Chi ha visto me ha visto il Padre” v. 9). Si tratta quindi di un’unica fede, che ha per oggetto sia il Padre che il Figlio: “Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato” (12,42; cfr. 1 Gv 2,23). La ragione profonda di questo sta nel fatto che il Figlio possiede la stessa natura divina del Padre, come viene detto più avanti (vv. 9-11: “… Io sono nel Padre e il Padre è in me…). Per questo motivo anche la preghiera viene rivolta sia al Padre (cc. 15-16) che al Figlio (14,14).
Gli apostoli, mediante l’esercizio della fede, devono affidare la loro esistenza concreta, specialmente il turbamento di quel momento, al Padre e al Figlio; questo affidamento donerà loro una nuova luce, che li aiuterà a comprendere come la dipartita del Maestro sarà seguita da una sua presenza ancor più vitale.
- L’amore di Gesù e i suoi effetti (Gv. 14, 15-31)
Ora il discorso si sposta sul dono dello Spirito Santo. Per consolare i discepoli, rattristati per la sua dipartita ormai imminente, Gesù fa queste promesse che realizzerà con la sua morte e risurrezione: lo Spirito Santo verrà ad abitare per sempre nei discepoli (vv. 15-17), lui stesso ritornerà da loro (vv. 19-21). E ancora lui e il Padre verranno in chi ama Gesù e prenderanno dimora presso di lui (v. 23). Il brano è dunque impostato in forma trinitaria, in modo tale da non separare le tre persone divine, per cui lo Spirito Santo è dato dal Padre su richiesta del Figlio, e, al pari dello Spirito Santo (v. 17), anche il Padre e il Figlio verranno ad abitare nel credente (vv. 21.23).
- “Il Paraclito sarà in voi”
Il brano inizia precisando in che cosa consista il vero amore dei discepoli nei riguardi di Gesù: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti” (v. 15). Il comando dell’amore si unisce armoniosamente anche alle altre due promesse: “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama” (v. 21), e Gesù si manifesterà a lui: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (v. 23), il Padre e il Figlio prenderanno dimora presso di lui”. Infine, il v. 24 ripete in forma negativa i concetti precedenti: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”.
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Sono doverosi alcuni rilievi. Si tratta innanzitutto di un amore di risposta a quello di Gesù stesso, che da sempre ha amato i discepoli di amore infinito: “Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (13,1). Va anche ricordato che Dio è amore e sorgente dell’amore: “Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi” (1 Gv 4,10; cfr. 4,8.16). Ne segue che l’amore dei discepoli verso Gesù è solo amore di risposta. Inoltre, si tratta di un amore non sentimentale, ma concreto, fondato sull’accoglienza della parola di Gesù e sulla pratica della sua volontà. La pratica dell’amore fraterno – richiamata vigorosamente nei discorsi dell’ultima cena (13, 34-35; 15, 12-14) - è il segno manifesto che il credente ama davvero il Figlio e il Padre: “Amatevi gli uni gli altri, come io ho amato voi” (15,12), e “chi ama Dio, ami anche il suo fratello” (1 Gv 4,21). Infine, è proprio questo amore concreto e operoso per Cristo che apre all’uomo la vita della comunione trinitaria.
Affermato il precetto dell’amore, Gesù promette: “Il Padre vi darà un altro Paraclito” (v. 16). Solo Giovanni usa questo termine forense “difensore” per indicare sia lo Spirito Santo (14,16.26; 15,26; 16,7) sia Gesù stesso (”Abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo giusto” 1 Gv 2,1). Quindi, il Paraclito è, al pari di Gesù (”un altro Consolatore”) persona divina. Viene chiamato anche “lo Spirito di verità (v. 17; 15,26; 16,13) e “Spirito Santo” (15,26).
L’opera del Paraclito, secondo i discorsi dell’ultima cena, è molteplice.
- Nei riguardi di Gesù: gli rende testimonianza dinanzi ai discepoli (15, 26-27) e lo glorifica (16,14).
- Nei riguardi dei discepoli: rimane in loro (v. 17), è loro maestro (14,26) e guida (16,13), in quanto li introduce alla piena comprensione dell’insegnamento di Cristo e li rende testimoni (15,27).
- Nei riguardi del “mondo”, considerato qui come ostile alla verità e all’amore è critico: un mondo del genere non può conoscere lo Spirito di verità (v. 17), lo Spirito denuncerà le colpe del mondo (16, 8-11).
Ci sono inoltre affermazioni fondamentali riguardanti l’ “inabitazione” dello Spirito. Il Padre darà ai discepoli il Paraclito “perché rimanga con voi sempre” (v. 16), e Gesù dice che lo Spirito di verità “dimora presso di voi e sarà in voi” (v. 17). Se si bada attentamente a queste affermazioni si possono individuare due fasi della presenza dello Spirito sui discepoli.
- La prima riguarda il periodo della vita terrena di Gesù: per il fatto che lo Spirito “scese e rimase” (1,34) su di lui, ne consegue che grazie alla presenza di Cristo in mezzo agli apostoli, anche lo Spirito “dimora presso di voi”.
- A questa fase ne succede un’altra che incomincia con la risurrezione, quando lo Spirito sarà “in voi” e “per sempre”. Quindi alla fase della “vicinanza” succede quella dell’ “inabitazione”, che prosegue per tutto il tempo della Chiesa (”per sempre”): questa fase è anche la nostra.
- “Ritornerò da voi”.
Accenniamo alle altre due “immanenze” – quella del Figlio e quella del Padre – nei credenti. La glorificazione di Gesù non solo comporterà il dono dello Spirito (7,39), ma anche la presenza del Risorto nell’intimo dei discepoli: “In quel giorno – nel periodo escatologico che inizia con la Risurrezione di Gesù e termina con la sua parusìa – voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (v. 20). Si tratta non soltanto delle apparizioni pasquali (”voi mi vedrete” v. 19), ma anche della luce della fede che fa conoscere le relazioni che intercorrono tra il Maestro e i discepoli (”voi in me e io in voi”), relazioni analoghe a quelle che esistono tra Figlio e Padre (”io sono nel Padre”). Gesù non ci lascia orfani perché dimora in noi.
- “Prenderemo dimora presso di lui”.
Gesù afferma: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (v. 23).
Si conclude così la serie: lo Spirito Santo, Figlio e Padre vengono ad abitare negli apostoli e nei cristiani di ogni tempo, e questi possiedono già ora un anticipo della presenza beatificante del cielo.
Ci chiediamo: una dottrina così sublime, quale è quella dell’inabitazione della Trinità nel credente, come può essere accolta dall’uomo d’oggi, tanto preso dalle cose materiali e immediate?
È questo uno dei casi nel quale dobbiamo fare affidamento sull’efficacia della parola di Dio e sull’aiuto della grazia. L’evangelista Giovanni e l’apostolo Paolo hanno proposto una dottrina del genere non solo ai giudei, ma anche ai pagani, che l’hanno accolta. Suor Elisabetta della Trinità (1880-1906) ha fatto di questa dottrina il fulcro della sua santità: “Ho trovato il cielo sulla terra, poiché il cielo è Dio, e Dio è nella mia anima… i tre che abitano in me… mio Dio Trinità che adoro”. Forse l’uomo moderno aspetta, più che mai, che gli venga indicata questa sorgente purissima della rivelazione del Nuovo Testamento.